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Normalità

Autore: EmanueleCinelli
Pubblicato: 20/11/2014 22:41:49
Categoria: editoriale
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Molte sono le domande che vengono formulate in merito al nudismo, a volte per effettivo interesse o curiosità, altre volte per giustificare il proprio disinteresse, altre ancora per tentare subdolamente d’instillare dei dubbi sull’effettiva salubrità e naturalezza del nudo sociale. Tra tutte ce ne sono tre molto ricorrenti e che vengono spesso strumentalizzate da media senza scrupoli:

1)“Se è vero che il nudismo è un movimento che non vive la propria nudità come esibizione o atteggiamento erotico come mai la maggioranza dei praticanti sono uomini?”

2)“Perché i giovani, ivi compresi quelli cresciuti nell’ambito di famiglie nudiste, disdegnano o quantomeno rifiutano il nudismo?”

3)“Se il nudismo fosse realmente una condizione naturale, sarebbe praticato da tutti o quasi tutti, invece è una pratica di nicchia, perchè?”

Alla prima domanda potremmo, mentendo e sapendo di mentire, rispondere che il rapporto tra uomini e donne nel nudismo è solo in apparenza a favore dei primi. Oppure, più correttamente, potremmo rispondere che tale rapporto è condizionato da molti fattori, primo fra tutti la plurisecolare e non ancora completamente eliminata dipendenza psicologica e sociale della donna dall’uomo, seguito a ruota da stereotipi sociali, tipo quello del corpo perfetto, che riguardano assai più la figura femminile che quella maschile.

Alla seconda domanda potremmo, abbracciando ipocritamente e opportunisticamente l’odierna moda di definire bambini i giovani e giovani gli adulti, rispondere che ci sono tanti giovani che praticano il nudismo. Oppure potremmo, tirando in ballo la solita tiritera (non che sia un concetto falso, ma non è nemmeno questione inevitabile), rispondere citando il difficile rapporto che gli adolescenti hanno con il loro corpo che sta mutando e la conseguente difficoltà a mostrarsi nudi. Più correttamente potremmo far notare che gli ambienti preferiti dai giovani sono esclusivamente tessili, che la maggior parte dei giovani crescono in famiglie tessili, che i giovani desiderano stare coi loro coetanei, una combinazione di fattori in ragione della quale difficilmente un giovane viene educato alla nudità e quei pochi che lo sono devono necessariamente rinunciarci se vogliono integrarsi negli ambiti sociali a loro dedicati, cosa assai importante per un adolescente. Potremmo infine anche far notare, spostando l’analisi sull’altro versante, che se gli adulti spesso si vergognano d’essere nudisti e lo nascondono al mondo intero, ivi compresi i loro familiari, chiaramente anche i loro figli, per i quali è ben più difficile nascondersi e tenere dei segreti, faranno altrettanto.

Alla terza domanda potremmo, facendo finta di ignorare che non è così ovunque, rispondere che invero il nudismo è in crescita. Oppure potremmo, più correttamente, far notare che affinché una scelta comportamentale possa crescere abbisogna di supporto sociale e istituzionale, supporto che non è dato al nudismo, alla pratica del quale la società odierna genera molte e forti difficoltà, nei confronti del quale le istituzioni, salvo pochissimi casi, mettono in campo ignoranza o addirittura proibizione, verso il quale i media, salvo pochi casi illuminati (per fortuna in aumento costante), inducono confusione mescolandolo o equiparandolo alla pornografia e alla pedofilia. Infine anche qui potremmo ribaltare il punto di vista e far notare che, purtroppo anche se in parte comprensibilmente, le comunità nudiste tendono spesso a comportarsi da società segrete, è, così, assai difficile, per chi non è nudista, costruirsi la giusta visione delle cose ed è evidente che senza conoscenza non esiste diffusione.

Queste, però, sono cose che ho già scritto (“Perché il nudismo non decolla”, “I mulini a vento”, “La verità o le verità?”), voglio, pertanto, qui spostare il discorso su un nuovo lido, in passato solo accennato, che si è nel tempo venuto a confermare e chiarire grazie alle mie costanti e numerose letture nelle quali ho trovato interessanti spunti per definire risposte diverse e, in un certo senso, illuminanti.

Alcuni interessantissimi articoli sociologici evidenziano il crescente ricorso al nudo come forma di protesta e, di conseguenza, spiegano come la chiave di volta per il successo di alcune manifestazioni, tutte quelle che vi hanno fatto ricorso, sia proprio il nudo. Non è, come si potrebbe pensare, perché il nudo fa scalpore (cosa che in pratica dovrebbe essere più negativa che positiva), ma piuttosto perché genera un forte legame inconscio alle motivazioni della protesta, di conseguenza la gente ne parla e parlandone si abitua all'idea che alcune problematiche esistano, parlandone si fissa nel subconscio l’esistenza di tali problemi, li metabolizza, li fa propri, ne diffonde la conoscenza. Breve parentesi, quando si arrivano a fare dei discorsi sulla base di stimoli inconsci, anche questi stimoli vengono metabolizzati e, pian paino, passano dal livello inconscio a quello conscio cambiando nel contempo il loro carattere (da negativi a positivi), così attraverso le proteste che usano il nudo, anche la nudità sociale da qualcosa di scandaloso diviene qualcosa di accettabile e... normale. Insomma se il fatto materiale (il nudo) sembra dare reazioni negative (le impressioni e le affermazioni del primo momento), intorno si scatenano processi che, se reiterati, fanno sì che la reazione finisca con l’essere positiva (da qui nasce la regola tanto nota ai pubblicitari e ai creatori di personaggi: non importa come se ne parli, l’importante è che se ne parli).

Un articolo parla della regista Emilie Jouvet e del lavoro nel quale ha ripreso la tournée di un gruppo di artiste lavoratrici del sesso e femministe in giro per l’Europa: “Too much pussy (Emile Jouvet, 2010 FR-D). Autrice: Hariette”. Stimolanti le motivazioni e i contenuti di questo lavoro, ma ancor di più mi hanno ispirato le frasi dell’articolista: “… l’intero progetto, così atipico, ha il doppio impatto, reale e video, ed è di una potenza inaudita… il film diventa così una riflessione sul femminismo, sul sesso e sul modo di combinarli attraverso il porno, o meglio attraverso la riappropriazione del diritto al porno da parte delle donne: il femminismo sex positive e non sex negative, come spesso è stato in passato… il film mi sembra quindi un momento importante per parlare di donne, di repressione sessuale, o, meglio ancora, di super emancipazione sessuale e gioco e arte…”

La recensione di un film su quello che è la vita dei giovani di oggi, “Spring Breakers”, parla di una vita fatta di trasgressione delle regole in generale, ma non per il semplice piacere di trasgredire, bensì perché i giovani sono oggi, ma in un certo senso lo sono sempre stati, refrattari alle regole (ne ho parlato dettagliatamente nell’articolo “Giovani, nudismo, famiglia e società”).

Infine diversi blog danno un chiarissimo esempio di come i giovani affrontino la vita e la sessualità. Uno fra tutti mi ha colpito particolarmente e seguo ancora costantemente: “memoriediunavagina”. Non fatevi ingannare dal nome, non ha niente a che vedere con il porno, anzi: siamo in presenza di una ragazza che mostra una capacità letteraria sopraffina e con essa ci dà una espressione chiara e


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