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Escursionismo: quale abbigliamento?

Autore: EmanueleCinelli
Pubblicato: 16/02/2013 10:24:41
Categoria: sport
Letto: 4887
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Prima di tutto mi qualifico, visto che in questa società basata sull'apparire e sull'inganno molti sono coloro che non credono alle parole del primo venuto ma vogliono riferimenti e qualifiche.

Ho iniziato ad andare in montagna all'età di 14 mesi, a tre anni mi è arrivato in regalo il mio primo paio di sci, da allora l'estate a camminare e l'inverno a sciare. All'età di otto anni, in campeggio con l'oratorio, ero l'unico tra i minori ad essere ammesso alle gite escursionistiche vere e proprie. Poi tanta montagna con gli scout, le gare di sci, le gite con un gruppo escursionistico di cui divenni uno dei più apprezzati capigita, infine l'arrampicata e, nel 1978, il corso di roccia.

Nel 1980 divento Istruttore Sezionale di Alpinismo del Club Alpino Italiano (CAI), partecipando come istruttore ad un minimo di un corso (arrampicata su roccia) all'anno, che diventeranno presto due dato che iniziai a collaborare anche con i corsi di ghiaccio alta montagna.

Nel 1984 prendo il titolo di Istruttore Regionale di Alpinismo del CAI e subito dopo inizio a dirigere i corsi di alpinismo. Nel 1990 divento Istruttore Nazionale di Alpinismo e negli anni a venire, oltre che dirigere vari corsi in tutte le discipline alpinistiche, assumo la direzione di due scuole di alpinismo, collaboro con la Scuola Regionale di Alpinismo e per qualche anno, poi problemi alle ginocchia e comparsa di occasionali vertigini mi costringono ad interrompere l'attività,anche con quella Nazionale.

Per finire potete, se lo ritenete opportuno, leggervi anche la mia attività alpinistica http://www.emanuele-cinelli.it/pagine/chiacchiere/attivita_alpinistica.html.

Terminate le presentazioni veniamo al contesto vero e proprio dell'articolo.

Proprio in questi giorni una rivista che parla di montagna e alpinismo si è rifiutata di pubblicare un mio piccolo intervento perché: “da tempo sto faticando per far capire quanto sia importante il corretto abbigliamento, parlare di escursionismo in nudità sarebbe una forte contraddizione”.

Invero non c’è nessuna contraddizione: è solo l’effetto di un secolare condizionamento mentale che porta a pensare questo, in alcune situazioni l’abbigliamento migliore è proprio la nudità. Senza la pretesa di esaurire la questione, ci vorrebbe un trattato voluminoso che nessuno poi leggerebbe, ma apportando alcune considerazioni d’esempio che sole bastano a chiarire la questione e, spero, inseminare qualche dubbio, vediamone le ragioni.

Ci sono tre aspetti da prendere in considerazione parlando dell’abbigliamento escursionistico: la salubrità, il confort e la sicurezza; in ogni momento la scelta dev’essere attuata a seguito di una corretta valutazione dei tre aspetti, tenendo conto che per certi versi sono tra loro interdipendenti (ad esempio, sicurezza non vuol dire solo protezione dagli agenti esterni, ma anche considerazione degli aspetti interni di salubrità), arrivando a definire una loro media ponderata.

Sicurezza

La sicurezza è di certo l’aspetto che porta più punti al vestiario che al nudo, ma la montagna non è sempre ambiente ostile.

Se d’inverno molti possono essere i pericoli oggettivi (valanghe in primis) che possono indurci in molte occasioni (ma non in tutte, ad esempio un ambiente di bassa montagna, con pendii moderati e non valangosi, con neve trasformata e dura oppure fresca e polverosa, in una giornata di sole e senza vento, si presta moltissimo a belle escursioni invernali in nudità) a non togliere il vestiario, d’estate le cose cambiano considerevolmente e il più delle volte, nella maggior parte delle situazioni, il vestiario non apporta nulla alla sicurezza: se mi cade un sasso in testa non sarà certo l’essere vestito ad evitarmi il trauma; se scivolo e cado in un dirupo, il vestiario potrà, forse (perché il vestiario si può anche rompere e non è incollato alla pelle), evitarmi le abrasioni, ma di certo non mi eviterà contusioni e fratture; se sbatto un ginocchio contro una pietra, l’avere o meno indosso i pantaloni non mi allevia la contusione; se metto male un piede l’essere vestito non può certo evitarmi la distorsione della caviglia (qui al massimo può entrare in gioco il tipo di calzatura e le scarpe le usano anche i nudisti); e via dicendo.

D’altra parte l’escursionista nudista si porta comunque al seguito tutto il vestiario necessario e andrà ad indossare quanto la situazione del momento richieda, esattamente come fa un qualsiasi altro escursionista, il quale di certo non si tiene addosso tutto i vestiario immaginabile possibile per tutta la durata dell’escursione, ma adegua lo stesso alla situazione che man mano si presenta.

Confort

Qui c’è ben poco da dire, è quantomeno evidente che non esiste niente di più confortevole del corpo nudo: nessun tessuto che possa creare allergie o fastidiose irritazioni da sfregamento, niente che possa stringere, niente che possa ostacolare il movimento.

La ricerca del confort da ormai diversi anni è diventata una costante in chi fa alpinismo ed escursionismo ed è solo conseguenza di un forte condizionamento mentale il fatto che pochissimi abbiano preso in considerazione il nudo.

Salubrità

Qui è un po’ meno evidente, ma anche per questo aspetto il condizionamento mentale alla negatività del nudo gioca un ruolo fondamentale.

Da sempre la medicina dello sport insegna che è importante sudare il meno possibile, ma sudare il meno possibile vuol dire mettersi addosso il minimo vestiario necessario in ragione della temperatura del momento e quando questa supera un certo livello (non indico un valore preciso perché è condizione molto soggettiva) il minimo vestiario necessario è la nudità. La cosa è molto più evidente nell’uomo che nella donna, farò quindi il discorso riferendomi all’anatomia maschile, questo non toglie che il tutto abbia valore anche in riferimento alla donna. I testicoli devono mantenere una temperatura il più possibile costante ecco quindi che la natura non solo li ha messi esterni e li ha avvolti in un dissipatore naturale, lo scroto, ma li ha anche dotati di numerosi e importanti sensori del caldo, sensori il cui funzionamento viene però alterato, se non inibito, innanzitutto dalle mutande il cui utilizzo è, per inciso, la prima fonte di malattie dei genitali, ma poi anche dal vestiario in generale: lasciare i genitali liberi vuol dire consentire al corpo la migliore termoregolazione possibile e, alla fine, sudare molto meno se non per niente.

Lasciando perdere le pur sempre valide ipotesi dell’interesse economico delle case produttrici di abbigliamento sportivo, la nudità crea imbarazzo (affermazione oggi non del tutto vera, ma tant’è, pare che siano più importanti quei pochi che ancora provano imbarazzo davanti a un corpo nudo che i tanti che non lo provano) e allora giù tutti ad inventarsi tessuti che permettano la migliore traspirazione possibile. Va bene, benissimo, quando proprio dobbiamo indossare qualcosa è bene che


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