Autore: Emanuele Cinell Pubblicato: 25/01/2014 08:00:00 Categoria: editoriale Letto: 5387 Rating: 4
A luglio 2011 pubblicai un articolo (“I mulini a vento”). Attraverso un brainstorming e usando la sola veste analitica, vi evidenziavo gli aspetti potenzialmente alla radice delle difficoltà che il nudismo incontra in ragione della sua più profonda accettazione e, soprattutto, della sua più ampia diffusione.
C’è sempre chi ribadisce che tali azioni non hanno senso, che le persone hanno il diritto di pensare e agire come vogliono. Vero, verissimo, ognuno ha il diritto di pensare e agire come vuole, ognuno per l’appunto, ivi compresi i nudisti, i quali, invece, se ben liberi di pensare come vogliono, non sono altrettanto liberi di agire come vogliono. Capire il perché di tale situazione non è un voler imporre agli altri la propria nudità, si tratta solo di un naturale meccanismo di crescita, così come una qualsiasi azienda che vede ignorare un suo prodotto o servizio viene a chiedersene il perché: non si vuole imporre l’accettazione del proprio prodotto o servizio o punto di vista, non si intende proibire il libero arbitrio, è solo e semplicemente l’unica strada per migliorarsi, per correggere le proprie strategie di marketing, il proprio approccio alla società. L’alternativa? Morire!
Ecco perché voglio ritornarci sopra, stavolta per proporre quello che allora avevo lasciato in sospeso: l’individuazione delle soluzioni. Prima di procedere devo e voglio segnalare che in questi due anni qualcosa è cambiato e questo qualcosa mi ha ancor più motivato a ritornare sulla questione, infatti: la società tessile si è aperta un poco verso il nudismo, quantomeno in Italia, mentre quella nudista ha mostrato, soprattutto in paesi dove il nudismo sembrava essere una realtà ormai consolidata tipo la Francia, segni di cedimento (vedasi campeggi nudisti dove il nudo è sempre meno presente e i vestiti sempre più diffusi, anche in assenza di motivazioni climatiche).
Senza altro indugio passiamo all’elenco dei punti chiave e alla proposizione delle relative soluzioni. Si rimanda al già citato articolo del luglio 2011 (“I mulini a vento”) per l’eventuale comprensione delle specifiche problematiche.
1)La vergogna dei nudisti. Avevo messo questa problematica all’ottavo posto nelle dodici definite, in seguito l’ho riposizionata mettendola al primo posto: dalla risoluzione di questa dipendono tutte le successive soluzioni. Possiamo oggi rilevare che qualcosa sta cambiando e sempre più sono i nudisti che escono allo scoperto, la situazione ottimale è però ancora molto lontana: per eliminare del tutto ogni dubbio sulla correttezza e bontà dello stare nudi, sul fatto che i nudisti non si vergognino della loro nudità, serve che in tanti, meglio ancora tutti, la si smetta di mascherarsi dietro ad altre parole o definizioni. Nudo è nudismo, nient’altro.
2)La rinuncia dei nudisti al marketing, al proselitismo. C’è poco da dire e costruire: non esiste sopravvivenza senza ricambio e non esiste ricambio senza propaganda. la soluzione è evidente e unica: marketing e proselitismo devono necessariamente essere il punto prioritario di tutta l’azione del movimento nudista. Fare propaganda non vuol dire obbligare gli altri a pensarla in un certo modo, è solo prospettare agli altri un’opportunità alla quale probabilmente non hanno mai pensato. Chi crede nel bene di ciò che pratica non può ritenere un male proporlo ad altri.
3)Il vittimismo nudista. Smetterla di accusare la società tessile, le istituzioni, gli operatori turistici dei problemi del nudismo: spetta a noi e solo a noi farci carico del compito di proporre le attività nudiste, del chiedere apertura al nudismo. Non possiamo e non dobbiamo aspettare che siano altri, quegli altri che per ora non sentono l’esigenza di stare nudi, a venirci incontro, dobbiamo essere noi a cercarli, a farli avvicinare, a fare... il nostro lavoro.
4)Il moralismo dei nudisti. Aprirsi di più agli altri, essere meno vigili e meno sospettosi, vivere la socializzazione così come viene pacificamente e apertamente vissuta nel mondo tessile.
5)L’ottusità sessuale dei nudisti. Idem come sopra: vivere più semplicemente l’affettuosità, esattamente come la si vive oggi nella società tessile.
6)Più in generale, le limitazioni comportamentali presenti negli ambienti nudisti. Ancora una volta la soluzione risiede nel vivere il nudismo con normalità. Ad esempio: quasi nessuno si preoccupa d’essere ritratto in situazioni tessili, nemmeno se indossa un micro costume o dei vestiti attillati o, per le donne, dei leggins. Eppure anche così una foto adeguatamente presa può mostrare molto o tutto delle parti intime, può risultare assai più eccitante di una foto di nudo, può finire in mani che non si conoscono, può essere utilizzata a fini autoerotici.
7)Il fondamentalismo nudista. Anche se a qualcuno non piacciono, sintatticamente e comunicativamente parlando non si possono fare recriminazioni all’uso delle etichette: servono a comprendersi più facilmente. Il problema nasce nel momento in cui tali etichette diventano una forma di protezionismo, di identificazione morale, di superiorità formale. Si continui pure a usare le etichette, ad esempio naturista e nudista, ma legandole solo ed esclusivamente a quello che è il significante puro della parola stessa, ad esempio naturista è colui che ama la natura e stop, nudista è colui che ama stare nudo e stop.
8)L’attaccamento dei nudisti alle teorie Freudiane come causa dei loro problemi. Dopo Freud sono arrivati altri studiosi della psiche umana e molti concetti Freudiani sono stati messi in discussione. Oggi è perfettamente inutile, per non dire dannoso, continuare a insistere sull’idea che i problemi del nudismo nascano dall’assioma tessile di “nudo uguale sesso”: non è vero per la stragrande maggioranza dei nudisti e non è vero nemmeno per la stragrande maggioranza dei tessili.
9)La limitata presenza di donne negli ambienti nudisti. Tutti i nudisti ben sanno che si tratta di una cosa più apparente che reale, resta il fatto che, specie per chi da estraneo non ha le opportunità di appurare il vero, ciò che appare è ciò che è. Purtroppo la soluzione non è facile, coinvolge molte variabili, alcune delle quali anche piuttosto oscure. Perfino il più semplice topless, che dieci anni fa sembrava dover diventare lo standard di fatto per l’abbigliamento femminile da spiaggia (tant’è che perfino alcune case produttrici di costumi iniziarono a vendere la sola mutandina), non ha più tanta diffusione. Probabilmente ancora troppo forte è il se